(di Flavia Balestra) Il linguaggio e, soprattutto, l’interazione tra uomini ed animali sono argomenti che continuano ad affascinare il mondo della ricerca e ad interrogare chiunque cerchi un approccio comunicativo, specialmente quando essi vivono, e condividono, il nostro mondo e la nostra quotidianità.
La storia di Koko, un gorilla femmina nata allo zoo di San Francisco nel 1971, che ha sempre vissuto in California, è proprio improntata alla continua ricerca del punto iniziale e finale di una “reale” comunicazione animale.
Il tutto è partito quando erano già noti i risultati degli studi del linguista americano Lieberman, che avevano in modo inequivocabile dimostrato come la particolare anatomia del condotto vocale di gorilla e scimpanzè rendesse impossibile la riproduzione di segni linguistici caratteristici della razza umana. Eppure, con Koko, nell'arco di diversi anni, grazie alla paziente interazione con la psicologa animale Penny Francine Patterson, nella riserva di “Gorilla Foundation” a Woodside in California, si arriva a risultati insperati di altissimo livello di interazione e comunicazione.
L’obiettivo dello studio è stato quello di insegnare a Koko il linguaggio dei segni americano. Alla fine, diverse pubblicazioni e documentari filmati hanno dimostrato che ciò è avvenuto con inaspettato successo. Addirittura, ciò ha portato a creare il “gorilla sign language”, utilizzato ed applicato anche su altri gorilla in studi successivi.
Nel tempo, Koko ha imparato un numero sempre maggiore di segni e li ha applicati correttamente nella relazione con la sua istruttrice, con un apprendimento gioioso e interattivo. Non sono mancate però critiche: alcuni ricercatori hanno sostenuto che la premialità abbia spinto il gorilla a determinati comportamenti e inoltre che la psicologa animale non abbia interpretato correttamente la ripetizione dei segni linguistici. Ad esempio: il segno “triste” che Koko ha ripetuto, realmente ha espresso la sensazione di “tristezza” in quel momento?
I dubbi rimangono, ma lo studio condotto ebbe una straordinaria risonanza mediatica, non tanto per l’esposizione del gorilla al pubblico, ma perché si è svolto in un periodo in cui si voleva dimostrare che gli animali non fossero in grado di sviluppare empatia con gli esseri viventi. È stato, infatti, particolarmente significativo il rapporto che si è instaurato tra Koko e un gattino: nel 1983 ne ha chiesto uno, ma quando le è stato affiancato uno di pezza non ha rivelato interesse continuando a mostrare il segno “triste”. Ben diversa è stata – come ha racconto Penny - l'interazione e la soddisfazione di Koko quando ha avuto la possibilità di prendersi cura, come di un suo cucciolo, del gattino “vero” All Ball. La fuga del piccolo animale e la sua morte, investito da un'auto, provocarono in Koko diverse reazioni, mostrando i segni: “Male, triste, male” e “broncio, piangere”.
Koko, morta nel 2018 a 46 anni, è stata una star, a cui hanno fatto visita, incuriositi, anche molti personaggi dello spettacolo, come Robin Williams, Leonardo DiCaprio, Sting e molti altri. In particolare, proprio Robin Williams è riuscito a far ridere Koko, in lutto per la morte del suo amico gorilla Michael, avvenuta sei mesi prima.
Grande è stata la considerazione della Patterson quando, riassumendo l'esperienza con Koko, spiegò che nella sua vita l’animale aveva imparato ben mille segni diversi, tra cui quello di fare il gesto del dito medio alla gente, quando questa le creava fastidio.
Noi umani ci riteniamo esseri superiori indiscussi, ma cerchiamo comunque continui parallelismi con gli animali. Dovremmo imparare a sviluppare un’empatia sana nei confronti del prossimo, chiunque esso sia, oggi più che mai. Le differenze esistono proprio per arricchirci.
RIFERIMENTI LETTERARI:
- Seth Borenstein et Janie Har: “Koko the gorilla used smarts, empathy to help change views”
- Carol McGraw: “Gorilla's Pet: Koko Mourns Kitten's Death, in Los Angeles Times”
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VIDEO DI KOKO: https://www.youtube.com/watch?v=SNuZ4OE6vCk