(di Giuliana Franciosa) “Il PNRR[i], Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza, definitivamente approvato il 13 luglio 2021 con la Decisione di esecuzione del Consiglio, che ha recepito la proposta della Commissione europea, dedica un’attenzione particolare alle donne e all’esigenza di costruire una strategia per favorire l’occupazione femminile.”
Ancora una volta si torna a parlare di donne, e dell’esigenza di elargire fondi al fine di favorire il loro ingresso nel mondo del lavoro. Ne parliamo, poi, in una fase estremamente complessa per le donne. Il post pandemia da Covid-19.
Perché complesso soprattutto per le donne è facilmente intuibile. Alle donne italiane è sempre spettato il ruolo di cura all’interno della famiglia. Ruolo dato quasi per acquisito, in automatico. Infatti, è sempre stato attribuito loro tale nobile incarico. E nel PNRR si mette in evidenza proprio un aspetto culturale della nostra società. Il termina “cura” viene appunto dedicato alle donne. Non esiste, infatti, all’interno del Piano alcuna strategia utile al potenziamento di una misura per gli uomini. Ai quali potrebbe parimenti spettare un incremento dei giorni di congedo di paternità per esempio. Non è detto, infatti, che gli uomini, così come accade in altri paesi europei, a noi vicini, non vogliano, o non possano dedicare più ore alla cura della famiglia in senso lato.
Dunque, la ripartizione dei carichi di cura in maniera equa nell’ambito familiare, potrebbe rappresentare indubbiamente il superamento di un retaggio culturale al quale, per anni, siamo stati abituati a ragionare.
Facendo riferimento agli ultimi dati Istat circa l’andamento del lavoro, nel primo trimestre del 2021, quindi in piena fase pandemica da Covid-19, il tasso di occupazione ha continuato a scendere. Parliamo di occupazione che ha riguardato sia gli uomini che le donne, ma con un calo significativo per le giovani donne fra i 25 e i 34 anni, l’età in cui spesso si ha il primo figlio. Altro dato sconfortante che emerge da questa analisi è che le donne sono più inattive rispetto agli uomini. Le persone inattive sono coloro che per svariate ragioni non cercano lavoro. Le motivazioni possono essere molteplici: la sfiducia nelle istituzioni, i carichi familiari, la gestione di persone anziane nel proprio nucleo familiare, la gestione dei figli.
Andando però a fotografare meglio la questione delle inattive, viene fuori che il 59% delle donne fra i 15 e i 34 anni di età, ovvero 6 su 10, non lavora e non cerca lavoro, una parte di loro perché studia, da come è intuibile. Nel secondo semestre 2021 invece, il gap tende a salire addirittura di 3 punti percentuali rispetto ai maschi. Le donne inattive per motivi familiari sono più di quelle inattive per motivi di studio. Mentre in questo secondo semestre gli uomini inattivi sono calati rispetto alle donne, dunque, il dato appare ancor più sbilanciato.
Sono circa 840 mila le donne che dichiarano di non cercare un lavoro perché ritengono di non riuscire a trovarlo. Un dato allarmante, se si considera l’aspetto da un punto di vista sociologico. Si percepisce sicuramente una scarsa fiducia nelle istituzioni, una chiara percezione della carenza dei servizi alla famiglia. Un sistema di welfare, dunque, non soddisfacente.
Un lavoro presentato dall’Istat rispetto alla vita delle donne e degli uomini nei vari paesi europei, ne mostra le varie differenze, sottolineandone alcuni aspetti salienti. Quello su cui è necessario porre l’attenzione, in questo momento, è indubbiamente, il rapporto figli/lavoro.
In media, nell’Ue il tasso di occupazione degli uomini è più alto di quello delle donne, si parla di 74% a 63%. Tuttavia, è interessante considerare come la differenza tra il tasso di occupazione delle donne rispetto a quello degli uomini aumenti con il numero dei figli. Nell’Unione Europea nel 2018, il tasso di occupazione per le donne senza figli è del 67 %, per gli uomini invece è del 75%. Con un figlio, il tasso aumenta al 72% per le donne e all’86 % per gli uomini. Per le donne con due figli, il tasso rimane quasi invariato al 73 %, mentre quello degli uomini aumenta al 91%. Quando si arriva a tre o più figli, invece, il tasso di occupazione per le donne scende al 58%, mentre per gli uomini è dell’85%. Questa struttura la si può osservare in quasi tutti i paesi dell’Unione Europea.
Uno degli strumenti che in qualche modo dovrebbe servire a conciliare i tempi di vita con i tempi di lavoro di una donna, ovvero il part-time; viene invece visto come un argomento alquanto controverso. Questo perché il part-time, appunto, comporta una serie di rinunzie a cui la donna è costretta sia da un punto di vista economico che professionale. Dunque parliamo non di “scelte” vere e proprie ma semplicemente di mancanza di alternative.
Sarebbe arrivato forse il momento di strutturare un modello di welfare ideale in cui il rapporto madre-lavoratrice non debba essere necessariamente e quotidianamente vissuto in contrapposizione.
[i] www.governo.it/sites/governo.it/files/PNRR.pdf