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I delfini e la potenza del melone

2022-03-15 17:22

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Selvaggio e Libero, Delfini,

I delfini e la potenza del melone

(di Flavia Balestra) Che cosa hanno in comune i delfini con i pipistrelli?

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(di Flavia Balestra)

Che cosa hanno in comune i delfini con i pipistrelli? I primi sono mammiferi marini della specie degli Odontoceti, cetacei dotati solitamente di denti, come anche capodogli e orche.  I secondi, invece, sono mammiferi terrestri, appartenenti all’ordine   dei   chirotteri.   Entrambi   condividono   simili   condizioni   di   vita, muovendosi al buio. I primi nella profondità delle acque marine, fino a 20-30 metri, dove filtra poca luce, tranne quei momenti che tutti conosciamo – nella vita dei delfini - a pelo dell'acqua o addirittura saltando all'esterno. I secondi volano e si cibano nell’oscurità della notte. Ed ancora: i delfini, così come i pipistrelli, si muovono   in   un   ambiente   tridimensionale,  effettuando   continue migrazioni verticali di centinaia-migliaia di metri in tempi brevissimi. Le due specie hanno in comune un sistema di eco-localizzazione, ovvero orientano i

propri movimenti ed informano il proprio comportamento sulla base di segnali che non sono visivi, ma acustici. Volendo   occuparci   in   primis   dei   delfini, notiamo   una   particolare ed importante struttura anatomica che si trova anteriormente al corpo degli animali, tra gli occhi.  E'   di   materia   grassosa   e   viene   definita “melone”.   Il   suo   ruolo   è importantissimo dell'orientamento che guida la direzione del movimento e nella percezione degli ostacoli, anche a notevole distanza. Quanto più è grande il mammifero marino, tanto lo è il “melone”. La taglia, infatti, tende alla crescita negli odontoceti di grandi dimensioni.  Per capire bene a cosa serva il “melone” dobbiamo rifarci agli studi sui Tursiopi, oggetto della valutazione degli esperimenti della Marina Americana nell'ambito della eco-localizzazione, per lo sviluppo dei sonar navali. Si è appurato che i segnali emessi da questo tipo di animali corrispondono a veri e propri “treni” di impulsi ultrasonici, con   punte   di   intensità   che   possono   arrivare   sino   ad   un massimo di 100 kHz. L'efficacia di questa eco-localizzazione è stupefacente, se si pensa che questi animali sono in grado di percepire la presenza di una biglia di metallo, di appena un centimetro di diametro, alla distanza di ben 70 metri. Ciò si rende possibile anche perché gli impulsi ad alta frequenza viaggiano in un ambiente diverso a quello terrestre. Non dall'inizio i Tursiopi sono in grado di sfruttare il proprio meccanismo di eco-localizzazione   attraverso   il “melone”.   Uno   studio ha dimostrato, infatti, che questi animali, nelle prime settimane di vita, non sono in grado di produrre e processare   le   informazioni   che   giungono   da   segnali   ultrasonici.   Ciò   si   rende possibile   a   tre-quattro   settimane   di   vita   e   si   associa   ad   alcuni   particolari movimenti   come   lo “scanning   movement”: l’animale   osserva   un   obiettivo   e muove   la   testa con   il “melone”, in   maniera   continua   per   cambiare l’orientamento con il quale i “click” colpiscono l’oggetto e tornano indietro, in modo tale da costruirne una rappresentazione tridimensionale. L'elaborazione avviene attraverso l'orecchio interno. Il processo di decodifica del segnale è stato studiato anche nei pipistrelli: in tal caso, però, sembra esserci un apprendimento locale   sulla   base   di   segnali   che   questi   animali   ascoltano   come   modello   dai conspecifici, il cosiddetto vocal learning.

Affascinante, dunque, scoprire   come   specie   animali   così   diverse   tra   di   loro abbiano impensabili caratteristiche comuni.

 

Riferimenti letterari:

-  A new fossil species supports an early origin for toothed whale echolocation (di

Geisler et al., 2014)

 

 

 

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Direttore responsabile Katiuscia Guarino
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