(di Flavia Balestra)
Che cosa hanno in comune i delfini con i pipistrelli? I primi sono mammiferi marini della specie degli Odontoceti, cetacei dotati solitamente di denti, come anche capodogli e orche. I secondi, invece, sono mammiferi terrestri, appartenenti all’ordine dei chirotteri. Entrambi condividono simili condizioni di vita, muovendosi al buio. I primi nella profondità delle acque marine, fino a 20-30 metri, dove filtra poca luce, tranne quei momenti che tutti conosciamo – nella vita dei delfini - a pelo dell'acqua o addirittura saltando all'esterno. I secondi volano e si cibano nell’oscurità della notte. Ed ancora: i delfini, così come i pipistrelli, si muovono in un ambiente tridimensionale, effettuando continue migrazioni verticali di centinaia-migliaia di metri in tempi brevissimi. Le due specie hanno in comune un sistema di eco-localizzazione, ovvero orientano i
propri movimenti ed informano il proprio comportamento sulla base di segnali che non sono visivi, ma acustici. Volendo occuparci in primis dei delfini, notiamo una particolare ed importante struttura anatomica che si trova anteriormente al corpo degli animali, tra gli occhi. E' di materia grassosa e viene definita “melone”. Il suo ruolo è importantissimo dell'orientamento che guida la direzione del movimento e nella percezione degli ostacoli, anche a notevole distanza. Quanto più è grande il mammifero marino, tanto lo è il “melone”. La taglia, infatti, tende alla crescita negli odontoceti di grandi dimensioni. Per capire bene a cosa serva il “melone” dobbiamo rifarci agli studi sui Tursiopi, oggetto della valutazione degli esperimenti della Marina Americana nell'ambito della eco-localizzazione, per lo sviluppo dei sonar navali. Si è appurato che i segnali emessi da questo tipo di animali corrispondono a veri e propri “treni” di impulsi ultrasonici, con punte di intensità che possono arrivare sino ad un massimo di 100 kHz. L'efficacia di questa eco-localizzazione è stupefacente, se si pensa che questi animali sono in grado di percepire la presenza di una biglia di metallo, di appena un centimetro di diametro, alla distanza di ben 70 metri. Ciò si rende possibile anche perché gli impulsi ad alta frequenza viaggiano in un ambiente diverso a quello terrestre. Non dall'inizio i Tursiopi sono in grado di sfruttare il proprio meccanismo di eco-localizzazione attraverso il “melone”. Uno studio ha dimostrato, infatti, che questi animali, nelle prime settimane di vita, non sono in grado di produrre e processare le informazioni che giungono da segnali ultrasonici. Ciò si rende possibile a tre-quattro settimane di vita e si associa ad alcuni particolari movimenti come lo “scanning movement”: l’animale osserva un obiettivo e muove la testa con il “melone”, in maniera continua per cambiare l’orientamento con il quale i “click” colpiscono l’oggetto e tornano indietro, in modo tale da costruirne una rappresentazione tridimensionale. L'elaborazione avviene attraverso l'orecchio interno. Il processo di decodifica del segnale è stato studiato anche nei pipistrelli: in tal caso, però, sembra esserci un apprendimento locale sulla base di segnali che questi animali ascoltano come modello dai conspecifici, il cosiddetto vocal learning.
Affascinante, dunque, scoprire come specie animali così diverse tra di loro abbiano impensabili caratteristiche comuni.
Riferimenti letterari:
- A new fossil species supports an early origin for toothed whale echolocation (di
Geisler et al., 2014)